Lo studio di Archeozoologia delle molte migliaia di ossa animali, accumulate come resti di caccia da parte dei frequentatori della grotta, permette di ricostruire le strategie economiche. Appartengono a mammiferi di media e grossa taglia, la principale risorsa alimentare integrata con vegetali (determinati con gli studi di Palinologia) e molluschi (determinati con gli studi di Malacologia).
I cacciatori paleolitici di Grotta del Romito cacciavano prevalentemente erbivori, soprattutto lo stambecco, che viveva sui rilievi più alti senza copertura boschiva, ma anche camosci e inoltre caprioli, cervi e cinghiali usuali abitatori dei boschi circostanti la grotta.
Le variazioni quantitative tra queste specie nei vari periodi del Paleolitico recente sono in relazione alle trasformazioni climatiche e ambientali, più stambecco e camoscio nelle fasi fredde, più specie di bosco nei momenti più temperati.
Il cavallo selvatico e l’uro (Bos primigenius) venivano cacciati più saltuariamente, spingendosi con le battute di caccia oltre le zone collinari e montane sino alle pianure costiere prive di copertura arborea.
Gli animali sono stati uccisi in età adulta, al fine di ricavare la massima quantità di carne e anche per preservare gli individui più giovani garantendo la continuità della specie.
La presenza di faune così variate tra i resti di pasto indica una strategia di caccia diversificata in rapporto agli ambienti naturali e anche la capacità di utilizzare tutte le risorse animali disponibili, comprese quelle lontane dalla grotta. Ciò indica una tendenza alla mobilità, attestata anche dalla pratica di percorrere decine di chilometri per procurarsi le rocce più adatte alla scheggiatura. Tutti questi elementi dimostrano un alto livello di sapienza ambientale di quelle comunità.